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Dícese de los políglotas o practicantes de lenguas varias.

Moderador: Larús

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az681
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Mensaje por az681 »

Mangia come parli di Maria Camilla Mayr

L'emigrazione è uno stato permanente, anni di successi professionali e soddisfazioni private non cancelleranno mai del tutto l'ansia e le difficoltà dei primi tempi. Soprattutto è difficile dimenticare i problemi con il CIBO IN TERRA "STRANIERA". Appena arrivati a Milano, la domanda cruciale dei romani era inevitabilmente: ma questi un cappuccino decente lo sanno fare? Indagini approfondite e passaparola tra schiere di avvocati, giudici, banchieri d'affari in trasferta permanente conducevano a un unico bar, Marchesi in via Santa Maria alla Porta, divenuto in breve l'equivalente della statua del Pasquino. Intanto arrivava l'estate e diventava urgente risolvere il problema del caffè freddo, che al Nord corrisponde a un intruglio shakerato con la vaniglia. Per scongiurare la fuga di cervelli, Cucchi in corso Genova si è dotato di una versione accettabile del caffè leggermente zuccherato, raffreddato in bottiglie di vetro religiosamente custodite nel frigo sotto il banco. Intanto si stringevano alleanze con i napoletani, i quali si aggiravano da mesi nelle zone più pericolose della città alla ricerca, ovviamente, di una vera mozzarella. Alcuni di loro infatti avevano avuto delle vere e proprie intossicazioni dopo aver ingerito il succedaneo caseario spacciato nei supermercati. Il problema è stato risolto con Mandara in via Cordusio 2. Con gli anni sono stati risolti anche gli ostacoli maggiori come quello della pizza (gli emigranti vanno da Biagio, in via Vincenzo Monti, la domenica sera) o dei bucatini all'amatriciana (da Giulio in via Muratori, il venerdì dopo il cinema). E alcuni di noi hanno imparato a cucinare: io sono capace di fare persino dei supplì decenti, che pur non raggiungendo le vette paradisiache di quelli di Euclide (piazza Euclide, quartiere Parioli, Roma) mi consentono di superare senza troppa nostalgia certe giornate senza vento.
Última edición por az681 el 09 Abr 2007 12:33, editado 1 vez en total.
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"Impossible n'est pas français", sibilava tra le labbra Napoleone; "qui parle dans mon dos, parle à mon cul", fiata ai giorni nostri CÉCILE DUFLOT, spontaneità colorita per la nuova segretaria dei Verdi francesi. L'azione innovativa che pervade i cantori della marsigliese rimpolpa il dinamismo politico francese consacrato dall'elezione al primo turno di Cécile, il 13 settembre 2006. La sinistra radicale punta le sue carte su leader al femminile e libertà dottrinaria. E la Duflot è l'asso di denari dei Verdi. E' scoccata la carica delle donne, la sinistra francese dissipa ogni dubbio. Pensiamo anche a Clémentine Autain, assessore alla Gioventù del comune di Parigi, giovane, piacente e gauchista. Torniamo alla Duflot, la sua "non è stata una consacrazione personale, ma il risultato di un compromesso. E questo fa pensare che i Verdi siano un partito piuttosto unito, nonostante la forte tradizione di conflitti interni". Ha ambìto con esuberante intelligenza ad un primato anagrafico, il suo predecessore Wehrling, era diventato segretario a 33 anni. Essere donna in politica è un difetto oppure un sorriso femmineo convince di più? Charme da guerriera fotogenica con un passato di secchiona tra i banchi, ambientalista per vocazione familiare, si avvicina fanciulla ai gruppi cattolici giovanili oscurati ben presto da una passione crescente per l'impegno politico. Vuole "mostrare che la politica è fatta anche di gente normale" e lapida l'attuale Chiesa cattolica con un meritato aggettivo: retrograda. La somma di tre figli, di un divorzio e di un lavoro in un gruppo immobiliare possono sancire il trionfo di una balda trentunenne infoiata dalla politica? In Francia, sì. Ed è gia eroina.
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Magari è passato un po' di tempo e magari ora se ne può parlare senza l'isteria del pro-o-contro a tutti i costi. Oltretutto attorno alla realizzazione del MUSEO DELL'ARA PACIS a Roma da parte dell'architetto Richard Meier si è scatenato un sabba di opinioni che va oltre l'edificio in sé, e riguarda una questione più ampia. Ossia: abbiamo noi moderni il diritto di intervenire su un tessuto urbanistico sedimentato? Il museo di Meier può piacere o non piacere. (A me, tanto per essere sinceri, piace poco; se non altro per la futura obsolescenza delle superfici bianche, considerando la prevedibile azione combinata di inquinamento e sciatteria nella manutenzione). Ma più grave è l'istinto di conservazione a tutti i costi che sembra inibire la progettazione nel cuore delle città storiche. Cioè, in Italia, nel cuore di tutte le città. È come se, per una forma di pudore unilaterale, la nostra generazione avesse deciso di essere la prima nella storia dell'umanità a non lasciare un segno proprio sul territorio. Un segno qualificato: ché in tema di abusivismo edilizio stiamo bene attenti a non lasciarci mancare nulla. Lo stesso centro storico di Roma è un palinsesto dove, in passato, ogni epoca umana non ha avuto scrupoli a lasciare qualcosa; da ultimo, il fascismo. E il tempo trascorso ci ha portato ad apprezzare anche questo genere di contributi. In altri paesi si discute, si litiga e si realizza. Interventi alcuni più, altri meno riusciti. A Barcellona, a Parigi, la vitalità cittadina è affidata proprio a questo genere di realizzazioni. Noi no. Noi riteniamo che anche la semplice ipotesi si configuri come un sacrilegio. Ma è un errore, perché se neghiamo persino la facoltà di discutere, altro che morte dei centri storici, dovremo affrontare. A morire siamo destinati innanzi tutto noi stessi.
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